facebook
twitter
0
linkedin share button

S.R.L.: Soci di minoranza a rischio, inconstituzionalità della norma?

La Legge 11 settembre 2020 n. 120 ha convertito in Legge il c.d. Decreto Semplificazioni introducendo tra l’altro - con l’art. 44 – la possibilità di deliberare, sino al 30 giugno 2021, le operazioni di aumento del capitale sociale col voto favore della maggioranza del capitale sociale presente in assemblea. Tale modifica crea non pochi problemi per i soci di minoranza.  

La disciplina ordinaria, infatti, consente di stabilire nello Statuto, maggioranze costitutive e deliberative qualificate, cioè più elevate rispetto a quelle previste dalla legge.

Lo Statuto, del resto e di fatto, è quel contenitore che stabilisce le “regole del gioco” che i soci si danno per il buon funzionamento della costituenda società.

Accade quasi sempre che il socio di minoranza pretenda, ed ottenga, che lo Statuto preveda maggioranze qualificate affinché taluni operazioni sociali non possono aver luogo se non con il consenso del socio “debole”; tra le tante, normalmente vi sono proprio le operazioni di aumento del capitale sociale. La maggioranza qualificata serve, concretamente, ad evitare che il socio di maggioranza, abusando della sua posizione dominante, possa svilire la partecipazione del socio di minoranza deliberando, appunto, aumenti di capitale indiscriminati e, spesso, non necessari.

Svilire la percentuale del socio di minoranza nelle società a responsabilità limitata, comporta gravi conseguenze. Osserviamo che, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, i soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale possono ottenere la convocazione dell’assemblea (art. 2479 c.c.); con il decimo del capitale sociale ci si può opporre alla rinuncia o alla transazione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (art. 2476 c.c.). Insomma più si svilisce la partecipazione del socio di minoranza, più si sviliscono i suoi diritti!

L’art. 44 della Legge 11 settembre 2020 n. 120, di fatto, è andata ad incidere sugli equilibri, spesso precari, tra i soci mettendo a rischio il socio di minoranza ed i suoi diritti; una norma che, a nostro avviso, non semplifica alcunché ma, anzi, alimenta il contenzioso tra i soci e mina la certezza del buon funzionamento della società e degli investimenti apportati nella stessa.

Inoltre al socio di minoranza che non intendesse deliberare l’aumento di capitale – e conseguentemente sottoscriverlo - non sono state offerte way-out a sua tutela.

La prima considerazione è proprio questa; il legislatore, con l’art. 44 legge citata, avrebbe dovuto consentire, quantomeno, al socio dissenziente di poter recedere, con effetto immediato, dalla società fissando anche le regole per la determinazione del valore della partecipazione da liquidare al recedente.

Molti osservatori, poi, hanno evidenziato che se la maggioranza qualificata fosse stata convenuta nei c.d. patti parasociali, la norma in esame, non avrebbe potuto trovare applicazione e ciò poiché il legislatore non ha introdotto deroghe alle clausole di tali patti ma unicamente allo Statuto. Ciò dimostra l’inadeguatezza dell’intervento normativo.

L’art. 44 della Legge 11 settembre 2020 n. 120 si pone in evidente contrasto con l’art. 41, primo comma, della Costituzione che testualmente afferma L’iniziativa economica privata è libera”.

Ora se l’iniziativa economica - libera - viene esercitata nelle forme societarie in cui i soci si danno regole attraverso la disciplina di taluni aspetti funzionali e partecipativi attraverso lo Statuto, come può una legge ordinaria - modificare tali regole senza violare la legge delle leggi?

Del resto lo stesso art. 41 della Costituzione non contiene riserve di legge se non quella espressa dal terzo comma che testualmente recita “La legge determina i programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica o privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. E non ci sembra che l’art. 44 abbia apportato modifiche ai quorum deliberativi con tali finalità.

Altro profilo di incostituzionalità è, a nostro sommesso parere, l’evidente contrasto con l’art. 42, 2 comma della Costituzione che testualmente recita “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Ed ancora pare nitido il contrasto con l’art. 47 della Costituzione che testualmente recita “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. 

Entrambi i precetti costituzionali non crediamo siano rispettati quando, di fatto, il legislatore consente che un socio possa vedere svilire la propria partecipazione contro la sua volontà vieppiù se tutelata dallo Statuto della società.

Un’ultima considerazione si deve trarre leggendo i lavori preparatori della legge di conversione.

La norma in discussione nasce in un contesto legato all’emergenza pandemica del Covid-19 desumibile sia dal contesto normativo in cui si colloca, sia dal fatto che tali operazioni in deroga sul capitale sociale sono limitate al 30 giugno 2021.

A nostro parere è evidente che i Notai – in sede di assemblea straordinaria e quali garanti del rispetto della legge – non potranno avallare aumenti di capitale in deroga se non intimamente connessi alla crisi economica dovuta all’emergenza pandemica.

A nostro avviso, dunque, potranno trovare ingresso nella disciplina in deroga, unicamente quelle operazioni sul capitale sociale che servano a tutelare la sopravvivenza della società compromessa dalle perdite dovute alla crisi economica pandemica e non già altri aumenti di capitale sociale finalizzati, a mero titolo di esempio, a finanziare investimenti; questi ultimi, per essere approvati, dovranno rifarsi alle maggioranze già presenti nello Statuto delle società.

Diversamente sarebbe del tutto evidente che l’unica finalità perseguita, con le operazioni di aumento del capitale sociale in deroga, sarebbe quella di svilire la partecipazione del socio di minoranza.

Ci troveremmo, dunque, in una situazione di abuso del diritto da parte del socio di maggioranza in danno di soggetto “debole”.

 

Avv. Stefano Ghilotti

Ghilotti and Partners Varese Milano

 

2021 Copyright © - Riproduzione riservata
I contenuti sono di proprieta' di FFA Eventi e Comunicazione s.r.l. - PI: 05713861218
Vietato riprodurli senza autorizzazione
Utilizzando il sito Web di Economia News, l’utente accetta le politiche relative ai cookie.
Continua