facebook
twitter
0
linkedin share button

Alberto Corbino: lo sviluppo sostenibile come rotta del piroscafo NuovaItalia

Un economista russo, quasi cento anni fa, schematizzò il susseguirsi di cicli economici nella teoria nota come “onde di Kondratiev. Dalla rivoluzione industriale ad oggi, l’umanità avrebbe vissuto cinque onde, ciascuna delle quali alimentata da una o due innovazioni dominanti che fungono da fattori trainanti: all’inizio furono il motore a vapore e la industria manifatturiera del cotone, poi le ferrovie e l’acciaio, quindi l’ingegneria elettrica e la chimica, e poi il settore petrolchimico e quello automobilistico e, come ultima, l’era dei computer e di internet, la cosiddetta ICT - Information and Communication Technology, che starebbe per esaurire la sua spinta.  

Se, fino a un anno fa, avessimo ipotizzato quale sarebbe stata l’innovazione destinata a stimolare una nuova onda, probabilmente avremmo tutti puntato sul terziario avanzato (cioè i servizi legati alla conoscenza) o anche una sola parte di esso, l’intelligenza artificiale.

Il Covid-19 potrebbe aver cambiato questo scenario. E’ un dato universalmente accettato, infatti, che a causare la pandemia abbia contribuito la rottura dell’equilibrio tra uomo e natura: un rischio vecchio come il mondo - la possibilità che un virus faccia il salto di specie - è stato “trasferito” da piccoli villaggi remoti, isolati nelle foreste, agli affollati mercati di megalopoli da milioni di abitanti, collegate (con poche ore di volo) al resto delle grandi aree urbane e quindi al pianeta intero. Un anno fa ci si è accorti che, oltre a tanta prosperità, il modello di sviluppo dominante è stato concausa di un disastro economico e sociale senza pari nella storia recente dell’umanità in tempo di pace. Da più parti sono quindi giunti appelli ad un’inversione di rotta: la natura come priorità, lo sviluppo sostenibile, inteso come equilibrio tra economia - società - ambiente, come mantra e parola d’ordine.

D’altronde il Covid19 è solo l’ultimo dei campanelli di allarme. Il mondo oggi sta vivendo un periodo di benessere senza precedenti, ma ciò non sta avvenendo senza impatti negativi, così sintetizzabili:  a) una diffusa crisi sociale, dovuta a una iniqua distribuzione della ricchezza, che è causa prima delle proteste in Francia, Ecuador, Libano, Cile, India, Senegal, giusto per citare i casi più noti;  b) la crisi ecologica:  il riscaldamento globale confermato dall’ IPCC delle Nazioni Unite, e la più grande (potenziale) catastrofe da quando l’uomo è apparso sulla terra, che si manifesta anche con un aumento di eventi atmosferici estremi o anomali, quali gli incendi della scorsa estate nella regione artica;  l’emergenza della plastica, riversata nei fiumi e negli oceani da interi continenti privi di qualsiasi politica di riciclo, è un'altra preoccupante questione e potrebbe costituire una sveglia di più facile percezione affinchè si smorzi la nostra fede assoluta nel dominante modello di sviluppo e nell’economia lineare.

Potrebbero quindi essere lo sviluppo sostenbile, la “buona economia”, l’etica nel senso di ethos – norma di vita - rispettosa della comunità e dell’ambiente, e non (solo) l’intelligenza artificiale, il nuovo fattore propulsivo e caratterizzante il prossimo ciclo economico, la prossima curva di Nikolai Kondriatev.

Ho cercato segnali “alti”a conferma di questa auspicabile ipotesi nelle cronache economiche e politiche di questi ultimi 18 mesi, e ho trovato spunti confortanti:

  • l’amministrazione Biden che rientra dal giorno 1 nell’Accordo sul clima di Parigi;
  • il ministero della Transizione Ecologica nel nuovo governo Italiano, in risposta alla “missione 2”  del Ricovery plan italiano (Rivoluzione verde e transizione ecologica);
  • l’annuncio del Green Deal della neo presidente della Commissione Europea (dicembre 2019);
  • l’annuncio di Black Rock, il più grande fondo di investimenti al mondo, che “la sostenibilità e il rischio climatico saranno i due punti chiave della loro strategia di investimento” (Washington Post, gennaio 2020);
  • la crescita incessante di strumenti finanziari (“titoli di debito sostenibili”) negli ultimi 8-10 anni  (Corriere della Sera, novembre 2020);
  • l’affermarsi di una voglia di capitalismo responsabile, testimoniata dalla rivista finanziaria Forbes che ha introdotto nel 2017-2018 l’elenco delle Compagnie Giuste (Just Companies); se anche si trattasse di interventi di facciata – quello che io definisco rainbow washing - sarebbe comunque indicativo di una crescente attenzione a questi valori da parte degli azionisti;
  • le Nazione Unite, che già hanno adottato i cosiddetti SDG – Sustainable Development Goals - come framework di riferimento per i prossimi dieci anni, il 3 marzo 2021 hanno annunciato l’introduzione del SEEA EA, acronimo di System of Environmental-Economic Accounting-Ecosystem Accounting, per integrare il PIL con indicatori di sostenibilità ambientale;
  • il Segretario generale dell’OCSE ha auspicato un aumento degli sforzi di ripresa post Covid19 verso soluzioni green  (6/10/2020);
  • le politiche annunciate di Paesi come la Cina che punta a produrre il 50% della sua energia da fonti rinnovabili entro il 2030, o come la Svezia, che intende diventare fossil fuel free nel 2050;
  • - l’Enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco con l’appello alla conversione ecologica (risale al 2015, ma è un tema ricorrente nei discorsi del Pontefice);
  • il crescere di business antispreco (cibo) / second hand economy (abbigliamento ecc.) aumentato del 33% negli ultimi 5 anni; il diffondersi di politiche “rifiuti zero”  ed economia circolare in genere in settori come la vendita al dettaglio, la ristorazione e l’alberghiero, tutte offerte che sposano una domanda crescente di “ambiente”;
  • il risalto mediatico di personaggi come Greta Thunberg, persona dell’anno 2019 della rivista TIME.

E l’Italia? Per l’impossibilità di confrontarsi e affermarsi sui mercati mondiali in termini di quantità ma solo grazie alla qualità, nessuno più del nostro Paese avrebbe il dovere di invertire rotta e di assumere una leadership mondiale sullo sviluppo sostenibile. L’Italia delle discariche e dei parchi eolici in odore di mafia, dell’abusivismo e della speculazione edilizia, del dissesto idrogeologico e delle ricostruzioni mai terminate, dei controlli fotocopia di ponti e cavalcavia, del capolarato, dei morti sul lavoro e dei furbetti del cartellino, quest’Italia, martoriata da decenni di miopia economica e demenza politica, potrebbe e dovrebbe ripartire da qui. Ne ha tutte le possibilità, ne avrebbe ogni vantaggio.

E’ un altro gioco che mi diverto a fare – e meglio di me lo fa il progetto “Italiachecambia” -  quello di individuare i segnali positivi che questa terra di ricercatori precari e agricoltori frustrati riesce a ancora a produrre, nonostante tutto. Se proviamo a guardarci intorno nelle nostre comunità, troveremo una moltitudine di pratiche di successo che, partendo dall’equilibro economia-società-ambiente, provano a fare le cose in una maniera diversa. Occorre però che queste buone pratiche diventino sistema.

Il Recovery plan servirà a finanziare interventi strutturali. Si cominci allora a pensare come strutturale il risanamento ecologico del Paese, bonificando gli oltre 12.000 “siti potenzialmente contaminati” censiti dall’ISPRA, di cui 58 sono definiti come “gravemente inquinati e a elevato rischio sanitario” (SIN), per la presenza di amianto e altri pericolosissimi materiali. Si ricominci dal mettere in sicurezza le aree minacciate dal dissesto idrogeologico, dal ricostruire quelle danneggiate da eventi sismici e dal ristrutturare e rifunzionalizzare il prezioso patrimonio edilizio storico. Si ricominci dal considerare come centrali allo sviluppo del Paese la sua cultura materiale ed immateriale e la sua diversità, valorizzando il sistema delle Aree protette, asset da sempre trascurato, come le aree interne.

Se ben utlizzato, il Recovery plan potrebbe costituire il combustibile necessario ad alimentare il “macchine avanti tutta” del piroscafo NuovaItalia, consentendo una decisa virata verso acque più tranquille e orizzonti più luminosi (e magari scansando l’iceberg -  ogni riferimento al Titanic è puramente casuale).

 

Alberto Corbino

Presidente della Fondazione Cariello Corbino

Docente di "Geography of the world economy", Università di Napoli – Federico II

2021 Copyright © - Riproduzione riservata
I contenuti sono di proprieta' di FFA Eventi e Comunicazione s.r.l. - PI: 05713861218
Vietato riprodurli senza autorizzazione
Utilizzando il sito Web di Economia News, l’utente accetta le politiche relative ai cookie.
Continua