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Giulia Gozzelino: Smart working e diritto disconnessione, tra tutele e prospettive di riforma

Smart working è un termine che è entrato a far parte in maniera dirompente nelle nostre vite, vedendo una crescita esponenziale del fenomeno, come emerge dai dati forniti dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui i lavoratori italiani in modalità lavoro agile, in epoca di lockdown, ammontano a ben 6,58 milioni (n.d.r. dati aggiornati al novembre 2020), di cui la quasi totalità nelle grandi imprese, mentre il 58% delle piccole medie imprese e il 94% delle amministrazioni pubbliche (dati aggiornati al novembre 2020). Tanto per effetto della pandemia da COVID-19 che ha impattato sulle nostre vite e trasformato i modelli organizzativi sia delle imprese private, sia del comparto del pubblico impiego. 

Il numero complessivo degli  smart worker attuali supera di ben dieci volte il dato registrato nell’anno 2019 e, secondo le previsioni del Politecnico, i lavoratori che continueranno a eseguire il proprio lavoro da remoto nel periodo post pandemico si assesteranno sui 5,35 milioni.

Lo Smart working rappresenta, tecnicamente, una modalità di lavoro volta a favorire la dislocazione del lavoratore al di fuori degli spazi aziendali, nell’ottica di incrementarne la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Tuttavia, corollario necessario del lavoro agile deve essere il diritto alla disconnessione, intendendosi per tale il diritto del lavoratore da remoto di preservare la propria sfera privata da eventuali intrusioni da parte della dimensione lavorativa.

Un tema, questo, al centro del dibattito attuale tanto dello dottrina giuslavoristica quando di quello parlamentare ove si dibatte su una pluralità di tematiche: dall’esigenza di definire un concetto di lavoro agile distinto da quello di telelavoro, al problema di garantire la sicurezza e la salute del lavoratore, dall’esigenza di concepire adeguati incentivi, alla problematica dello spopolamento dei grandi centri economici.

Tra gli ordini di fattori che incidono sul lavoratore da parte del datore, ne emergono, in particolar modo due. In primo luogo, l’esigenza di esercitare il potere-dovere di controllo, funzionale alla posizione di direzione ed intrinseca al ruolo datoriale.

In seconda battuta, la c.d. ipercontemporaneità, ossia la suscettibilità del lavoratore agile di adempiere a più prestazioni contemporaneamente. Basti pensare al fatto che se, da un lato, lo smart worker è in grado di intensificare la propria redditività e funzionalità grazie, per esempio, al fatto che non debba percorrere quotidianamente il tragitto per recarsi sul luogo di lavoro ovvero all’opportunità di organizzare con maggior flessibilità il proprio carico lavorativo per obiettivi, dall’altro lato, per contro, egli è raggiungibile, tramite le dotazioni aziendali, indipendentemente dall’orario lavorativo, quindi anche nel tempo dedicato al riposo.

Tali condizione determinano il fenomeno del c.d. always on: il lavoratore è posto in una condizione di perpetua reperibilità e allerta rispetto al soddisfacimento delle pretese del proprio datore. Al riguardo si parla, altresì, di “working everytime, everywhere”.

In altri termini, la smaterializzazione del lavoro, per quanto possa offrire la possibilità di meglio organizzare le risorse personali del lavoratore, comporta un pericoloso assottigliamento della linea di demarcazione tra lo spazio di vita privato e quello lavorativo (c.d. time porosity), compromettendo l’armonizzazione tra le due sfere.

Su queste basi ci si interroga sul diritto alla disconnessione che, nella legislazione italiana, e in particolar modo nella Legge 22 maggio 2107, n. 81 non è disciplinato e la sua regolamentazione è, pertanto, rimessa all’autonomia delle parti. La legge si limita genericamente a prevedere che con l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile, stipulato tra datore e lavoratore, siano individuati “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

A prescindere dalle singole iniziative di contrattazione aziendale, tuttavia, la lacuna di una disciplina specifica a livello nazionale ha posto problemi in termini di effettività della tutela del lavoratore. Sovente, difatti, il diritto alla disconnessione rimane inattuato e fermo a una mera affermazione di principio ovvero diviene oggetto di pattuizioni squilibrate volte a vantaggio della parte contrattualmente più forte.

A monte si rileva, specialmente, come le criticità in tale campo siano esacerbate dalla non semplice definizione del contenuto stesso di “disconnessione” nonché di “vita privata”.

Con riguardo a quest’ultima nozione, i giudici europei, nella controversia Balbulescu c. Romania del 2017, hanno ampliato l’accezione di vita privata tutelata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione CEDU: il concetto si estende dalla sfera personale in senso stretto ad ogni aspetto che consenta all’individuo lo sviluppo della propria identità sociale tramite l’intrattenimento di relazioni con il mondo esterno,  nel cui ambito rientrano le attività professionali, ivi comprese le conversazioni e la corrispondenza via e-mail  per l’ufficio.

Alla luce dei dati relativi all’incremento del ricorso allo Smart working durante il periodo della pandemia da Covid-19, il Parlamento Europeo, il 21 gennaio 2021, ha adottato una Risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione, riconoscendo, all’oggi, l’assenza di una adeguata tutela di tale situazione soggettiva.

La percentuale dei lavoratori europei che hanno iniziato a lavorare a casa in occasione del lock down, difatti,si assesta sul 37%, mentre ammonta al 27% la percentuale degli smart worker dell’U.E. che hanno lavorato anche nel tempo libero; è stato, inoltre rilevato come più di trecento milioni di persone nel mondo soffrano di depressione e disturbi mentali connessi al lavoro.

Da qui, l’esigenza di un intervento legislativo anche a livello eurounitario.

La proposta di Direttiva, promossa da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio e allegata alla predetta Risoluzione, sul diritto alla disconnessione, in primo luogo, chiarisce che per disconnessione si debba intendere il “mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell'orario di lavoro”.

In secondo luogo, si prevede che il diritto alla disconnessione debba essere garantito da parte degli Stati membri mediante l’adozione di provvedimenti ad hoc e previa consultazione delle parti sociali, mentre l’esercizio dello stesso debba essere consentito secondo modalità dettagliate e attuate da parte dei datori in modo equo e trasparente.

Tra le condizioni di lavoro che dovranno essere assicurate da parte degli Stati membri ai propri smart worker, rientrano, per esempio, la concreta e pratica possibilità di scollegarsi dalle dotazioni digitali di lavoro, l’implementazione di un sistema per la misurazione delle ore lavorate nonché la valutazione della salute, della sicurezza del lavoratore e del rischio psicosociale.

Tra le esperienze di normazione nazionale in ambito di Smart working a cui potrebbe attingere il legislatore italiano, è degna di nota quella francese con l’adozione della Loi Travail del 8 agosto 2016 con la quale il diritto alla disconnessione è stato espressamente riconosciuto e la cui regolamentazione è stata rimessa alla contrattazione collettiva.

Di particolare interesse sono, tuttavia, anche talune soluzioni adottate a livello aziendale da parte di società straniere, per esempio: la società Bmw calcola il tempo che i dipendenti dedicano all’evasione di e-mail nel tempo extra lavorativo e lo convertono in sconti di ore lavorate, mentre la società Volkswagen ha imposto la sospensione delle comunicazioni sui telefoni mobili professionali tra le ore 18,15 e le ore 7,00.

In conclusione, il lavoro agile, affinché possa costituire un effettivo strumento di soddisfacimento e di equo bilanciamento degli interessi del lavoratore e del datore di lavoro, deve postulare una puntuale regolamentazione del diritto alla disconnessione, la cui disciplina potrebbe ben essere attribuita alle parti datoriali, ma nell’ambito di una più precisa e dettagliata cornice disciplinare nazionale, specialmente sulla base dei recenti impulsi eurounitari.

 

Giulia Gozzelino

Avvocata e cultrice della materia in diritto commerciale comparato

 

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