facebook
twitter
0
linkedin share button

Emanuele Gatti: il "sentiero stretto" dell'innovazione per la ricostruzione post-COVID

Se l’obiettivo è quello di ripartire presto e bene, occorre forse concentrarsi sulla traslazione, cioè l’individuazione di possibili campi di applicazione di scoperte di base già fatte, come nel caso dei vaccini, e mettere in condizione il sistema economico europeo di accelerare la “messa a terra” dei cavalli del suo eccezionale motore di innovazione. La comunità, per certi versi stordita da questa pandemia, attende nuovi servizi e prodotti, e li userà se li riconoscerà come utili.

”Europa forscht, die Welt impft - L’Europa fa ricerca, il Mondo vaccina”, così titolava pochi giorni fa il prestigioso giornale tedesco Handelsblatt. Si riferiva al fatto che mentre enormi risorse europee sono state investite con successo nello sviluppo di vaccini con il brillante risultato della loro veloce disponibilità, la governance della loro distribuzione non è in mano europea, bensì in quella di multinazionali BigPharma, perlopiù non europee, con la conseguenza che la velocità di vaccinazione in USA e Gran Bretagna è molto superiore a quella europea

Le istituzioni dell’Unione Europea UE (o gli Stati Membri) in questa fase di pandemia hanno messo a disposizione risorse finanziare immense (stimati almeno 1,5 miliardi di Euro) per la finalizzazione dello sviluppo biotecnologico ed hanno precedentemente supportato la ricerca di base che ha permesso di arrivare in un così breve tempo a risultati impensabili fino a pochi anni fa. 

Non è un caso che il primo vaccino in commercio basato su tecnologia mRNA della ditta tedesca BioNTech, ed il primo ad unica dose di somministrazione della Janssen, filiale olandese dell’americana J&J, siano frutto della ricerca europea. L’UE e le varie istituzioni nazionali hanno nel recente passato pesantemente investito nella ricerca di base che ha reso possibile l’applicazione ai vaccini dell’innovativa biotecnologa del mRNA.

Far acquisire all’Europa una consistente e profonda conoscenza scientifica in questi settori è stato un chiaro obiettivo sia delle istituzioni nazionali che di quelle comunitarie anche attraverso diversi programmi finalizzati della UE o dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI). E la ricerca di base si è ben sviluppata a livello di università e di centri di eccellenza, guardando principalmente alla grande “pandemia” da malattie non trasmissibili, quelle oncologiche.

La geniale intuizione è stata quella di applicare tale conoscenza allo sviluppo di vaccini per la pandemia da SARS-CoV-2. Accanto alla già citata BioNTech anche la start-up tedesca CureVac, che ha scelto al contrario di BioNTech di non appoggiarsi ad una multinazionale BigPharma, sta sviluppando un vaccino a base mRNA, che si trova ancora solo nella fase di sviluppo clinico. Eppure, CureVac ha a disposizione una base tecnologica solidissima ed una competenza scientifica profonda, quindi che cosa è successo? Il complesso processo di passaggio dalla ricerca di base alla disponibilità del prodotto finito richiede diverse competenze che non sono particolarmente sviluppate in una start-up, la cui principale attività è quella del drug-discovery (cioè nell’individuazione della molecola o del preparato) e della “prototipazione”.

La successiva e definitiva formulazione del prodotto, lo scale-up di produzione, l’organizzazione della catena logistica, e soprattutto il disegno degli studi clinici e la loro attuazione sono invece la specialità delle multinazionali farmaceutiche che dispongono delle necessarie ingenti risorse finanziarie, che però, da sole, non bastano.

La competenza necessaria per la realizzazione di un processo di sviluppo completo di un farmaco va ben al di là delle risorse economico-finanziarie, si tratta di uno specifico know-how costituito da conoscenze tecnologiche e “regolatorie”, dalla capacità di posizionamento nei confronti delle autorità per l’autorizzazione del farmaco e la successiva farmacovigilanza, ma soprattutto dalla abilità di sviluppo clinico.

Uno dei motivi per cui alcuni vaccini sono stati approvati prima di altri è stata la perfetta presentazione dei risultati della sperimentazione sui pazienti. Ciò richiede sia competenza scientifica e medica per la stesura, l’esecuzione e la successiva analisi dei risultati, sia una buona posizione sul mercato globale, che permette di essere riconosciuti dagli opinion leaders come attori importanti con cui collaborare per i trial clinici per reclutare pazienti su base globale.

Quindi, l’innovazione terapeutica sviluppata nelle start-up necessita anche altre competenze esterne organizzate in un preciso processo. Il passaggio da un’idea, magari nata in laboratorio o in un reparto ospedaliero, ad un prototipo di prodotto che possa divenire un successo terapeutico, si chiama traslazione dell’innovazione. Esso si applica non solo ai farmaci, ma in medicina anche a qualunque forma di dispositivo medico o diagnostico. In questo processo l’Europa con i vaccini ha ancora una volta dimostrato di non essere il “best-in-class” e di non essere in grado di farcela senza usare multinazionali straniere. Non è questo certo il primo esempio di come nel recente passato formidabili innovazioni europee siano state acquisite da giganti, per esempio americani, e poi trasformati in grandi successi economici. La remunerazione della ricerca che non arriva fino alla fase finale è notevolmente inferiore a quella della commercializzazione di un prodotto finito per un lungo periodo di tempo.

I ricercatori europei detengono un innumerevole numero di brevetti di invenzione, ma negli ultimi anni sono nati in Europa pochi “Unicorni”, cioè start-up tecnologiche poi divenute giganti. Per una serie di ragioni, le start-up hanno venduto i loro brevetti a qualche “corporate” e sono passate a fare altro, il che vorrebbe anche solo dire lodevolmente concentrarsi sui propri punti di forza. Il dubbio è che in realtà non ci siano le condizioni necessarie per crescere e potenzialmente divenire “Unicorni”. Il processo di traslazione e sviluppo è sistematico e sistemico, avviene in un ecosistema che può essere aziendale, se l’azienda è globale, oppure in uno più aperto, locale, nazionale o più vasto.

Solo in pochi lodevoli casi alcune aziende sono state in grado di approntare quanto necessario: a livello europeo questo ecosistema che le dovrebbe supportare è debole e quindi insufficiente per trasformare le immense capacità scientifiche e di ricerca di base in innovazioni sul mercato in tutti i settori, non solo in quello sanitario.

Uno dei segreti per accelerare il passaggio da un’idea di prodotto ad un vero prodotto è quello di permettere una comunicazione semplice ed efficace tra i vari attori coinvolti. Ovviamente la co-localizzazione è stata, fino all’avvento di internet, il mezzo principale. Ora si tende a suggerire che con la virtualizzazione dei meeting e con la possibilità di comunicare facilmente a distanza tale necessità di co-localizzazione sia sparita. In effetti, questi strumenti ormai ampiamente affermati aiutano molto, ma per esempio in alcune fasi di passaggio di consegne tra diverse responsabilità aziendali non è del tutto vero, anzi.

La possibilità per chi ingegnerizza il prodotto, per esempio un dispositivo medico, di poter facilmente mostrare il suo problema od esprimere la sua opinione al collega che si è occupato dello sviluppo, velocizza enormemente il lavoro. Nel passato, i distretti produttivi hanno giocato un notevole ruolo. Queste strutture vanno mantenute, aiutate a rafforzarsi e specializzarsi, rendendole al contempo sempre più aperte e permeabili alle innovazioni esterne.

Tuttavia, non si può e non si deve restringere l’orizzonte, e la UE deve trovare in questa fase storica la capacità di fare sistema a livello sia nazionale che transnazionale. Il che significa, da una parte, far comunicare potenziali partner, e dall’altra essere selettivi a tutti i livelli individuando le eccellenze e sponsorizzando quelle strategiche. La competizione anche scientifica si è spesso dimostrata efficace ma la duplicazione delle iniziative è sempre un rischio di spreco di risorse.

Lo sviluppo, l’ingegnerizzazione, la produzione devono essere inserite in un tessuto sociale che permetta anche la crescita delle nuove generazioni di addetti. Il patrimonio di conoscenza “embedded”, intrinseco, quasi un’eredità genetica di una realtà aziendale, è spesso non “formalizzato”, quindi non codificato e trascrivibile, ed è difficilmente trasportabile alle nuove generazioni se non con esperienza diretta. Quindi accanto alla formazione teorica per l’acquisizione di conoscenze, è necessario che anche l’acquisizione di competenze provenienti dall’esperienza venga considerata una priorità e che ad essa venga riservata la dovuta attenzione anche in termini finanziari. Modelli di apprendimento teorici e frontali vanno completati con quelli “learning by doing” che hanno anche il vantaggio di costituire degli eccellenti programmi di orientamento al lavoro. Ciò è ancora più evidente per i lavori in clinica senza i quali nessuna tecnologia sarebbe utile. Inoltre, come già indicato, la fase più cruciale dello sviluppo di un prodotto medicale è quella di validazione clinica. Ma non solo: in questo momento sarebbe estremamente utile poter testare, per altre indicazioni, alcuni farmaci già validati per la loro sicurezza ed autorizzati per l’uso. Oggigiorno le tecniche di Intelligenza Artificiale rendono più agevole la selezione.

Fa specie che in sistemi sanitari altamente organizzati e adeguatamente finanziati come quelli europei non ci sia spazio sufficiente per la ricerca clinica. Ovviamente sarebbe ideale poter disporre di comprensori dove tutte le fasi dello sviluppo siano co-localizzate, ivi compresa quella clinica. I vantaggi sarebbero evidenti, il travaso di conoscenza da e alla clinica renderebbe più solido e veloce il processo, per lo meno nella fase di sviluppo o prototipazione per i dispositivi medici e nel caso dei farmaci, almeno fino alla cosiddetta fase 1, quella della verifica della sicurezza del prodotto.

Un capitolo a sé stante riguarda il finanziamento dell’innovazione che spesso e volentieri si confonde con quello della ricerca di base privata od accademica. Come visto, l’innovazione si basa sulla ricerca ma è molto di più: tutte le fasi del processo di innovazione vanno finanziate. Il volume del budget è un elemento determinante ma non sufficiente, perché vanno considerate la qualità del finanziamento e dei potenziali risultati. Cosa significa qualità? Certamente il valore scientifico, misurabile tramite le classiche valutazioni di impatto e di riconoscimento internazionale, ma anche e soprattutto la sua portabilità ad applicazioni concrete in ambito delle società o della economia pubblica o privata.

Dobbiamo far ripartire un Continente ed abbiamo bisogno di “pietre angolari” per la ricostruzione sociale ed economica. Ora è il momento di concentrarsi, di selezionare, di premiare chi definisce priorità e le segue. Questa fase storica richiede il rigore, la diligenza chiamata dal nostro codice civile del “buon padre di famiglia”, che sa decidere per il bene comune. Le operazioni di bassa levatura tecnico-scientifica non portano benefici alla comunità ma ne indeboliscono la forza economica.

Se l’obiettivo è quello di ripartire presto e bene occorre forse concentrarsi sulla traslazione, cioè l’individuazione di possibili campi di applicazione di scoperte di base già fatte, come nel caso dei vaccini e mettere in condizione il sistema economico europeo di accelerare la “messa a terra” dei cavalli del suo eccezionale motore di innovazione. La comunità, per certi versi stordita da questa pandemia, attende nuovi servizi e prodotti, e li userà se li riconoscerà come utili.

Occorre un momento costituente sull’innovazione, in cui i vari attori definiscano le priorità e decidano le linee guida, le regole, i ruoli e mezzi della loro implementazione: gli slogan sulla digitalizzazione e sulla transizione “verde” sono troppo vaghi e vanno specificati.  

 

Emanuele Gatti

Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Germania (ITKAM)

è stato Professore di Traslazione di innovazione biomedicali presso la Danube University di Krems (Austria)

 

2021 Copyright © - Riproduzione riservata
I contenuti sono di proprieta' di FFA Eventi e Comunicazione s.r.l. - PI: 05713861218
Vietato riprodurli senza autorizzazione
Utilizzando il sito Web di Economia News, l’utente accetta le politiche relative ai cookie.
Continua